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Dalla Fao a Copenhagen: il declino dei summit

|In Evidenza
18 novembre 2009
Il palazzo della FaoAnche quest’anno i riflettori si sono accesi sulla fame nel mondo. Domani, quando ci sveglieremo, i fari saranno di nuovo spenti. Al di là delle azioni di sensibilizzazione, pur sempre doverose, non basta l’ormai ripetitivo summit della Fao a Roma per cambiare la situazione, soprattutto nel momento in cui la stessa modalità del summit viene messa in discussione. Dall’altra parte del mondo, con il patto di Pechino, Obama i paesi del Pacifico e Hu-Jintao, hanno già trasformato in flop l’atteso Cop15 di Copenhagen sui cui i paesi occidentali puntavano per trovare l’accordo sul clima.

Così, invece dei 44 miliardi di dollari necessari per sfamare il miliardo di persone sottoalimentate nel mondo (di cui 642 milioni in Asia e nel Pacifico e 265 milioni nell’Africa Subsahariana), ecco comparire altre cinque nuovi impegni (“I principi di Roma”) un po’ troppo generici: dallo sviluppo rurale (collegato al contrasto del “land grabbling" da parte delle multinazionali) alla collaborazione tra le strategie nazionali, dall’approccio binario al multilateralismo. L’ultimo punto poi – quello sugli investimenti economici – non è stato accompagnato da uno stanziamento definitivo. Certo, il summit non è stato privo di momenti di slancio, come il discorso di Papa Benedetto XVI: “La fame è il segnale più concreto e crudele de

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