Chat with us, powered by LiveChatBanche: dagli stress test poco o nulla sul debito sovrano - FASI
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Banche: dagli stress test poco o nulla sul debito sovrano

|Novità
26 luglio 2010

euroE' scoccata l'ora del processo agli stress test. Procedure poco incisive secondo alcuni esperti che si sono pronunciati in seguito alla pubblicazione del verdetto, lo scorso 23 luglio. Il motivo? I risultati non dicono molto sulla capacità di resistenza delle banche europee ad un maggiore stress sovrano. Tuttavia, per il solo fatto di aver obbligato venti paesi dell'UE ad affrontare questa prova con l'intento di garantire la solidità del sistema bancario, si può affermare che l'operazione trasparenza sia andata sostanzialmente in porto.

Ora i mercati finanziari hanno a disposizione molti più dati sui bilanci degli istituti di credito per fare i loro calcoli. Tutte le banche - eccezion fatta per quelle tedesche - hanno inoltre pubblicato alcuni dati sulla loro esposizione al debito dei principali paesi europei. Erano tre gli scenari macroeconomici presi in considerazione, scartata l'ipotesi di un default sovrano. Solo una piccola parte di debito sovrano detenuto dalle banche è quindi stata considerata.

Il CEBS ha rivelato che, su un totale di 91 istituti che controllano il 65% delle attività bancarie europee, solo 7 banche - 5, sconosciute, casse di risparmio spagnole, la greca ATEbank e la tedesca Hypo Real Estate - hanno fallito, nella misura in cui il loro Tier 1 è sceso sotto il 6% in una ipotetica condizione di crisi. Le  ultime previsioni di Goldman Sachs alla vigilia del risultato - che profetizzava ben 10 banche inadempienti - si sono quindi rivelate sbagliate.

Le banche "incriminate" sono invitate ad aumentare i fondi propri di 3,5 miliardi euro, preferibilmente sanza un intervento statale, una cifra lontanissima dai 75 miliardi di euro che emersero dagli stress test americani del 2009.

Il piccolo numero di "bocciati" deriva dal fatto che le autorità europee non hanno voluto ipotizzare per gli stess test uno scenario di default per uno o più stati come la Grecia, il Portogallo, l'Irlanda o la Spagna.
"Tenuto conto del grande piano di salvataggio messo in atto a maggio nella zona euro, in occasione del quale le autorità europee si sono distinte sui mercati per la loro tempestività di azione, sarebbe contraddittorio prendere in condsiderazione l'ipotesi di un default" ha affermato Vitor Constancio, vicepresidente de la Banca centrale europea.

Le autorità europee, in ogni caso, non accettano le accuse di lassismo e ricordano che  gli stress test realizzati nel 2009 negli Stati Uniti, i cui risultati si sono distinti per il loto "cinismo", sono stati realizzati nel bel mezzo della crisi economica, prima delle grandi ricapitalizzazioni. Uno scenario completamente diverso rispetto a quello che l'Europa sta vivendo in questo periodo.

Esplicitare delle ipotesi di fallimento per uno stato, piuttosto che per un altro, avrebbe rappresentato un terreno minato per le autorià regolatrici. Se la CEBS lo avesse fatto, sarebbe andata incontro alla reazione dei singoli paesi presi in considerazione.
L'importante è che si sia usciti da una situazione "opaca" dovuta alla concorrenza tra auotirà regolatrici, dove nessuno voleva mostrare il proprio gioco agli avversari.

In "casa", la Banca d'Italia ha osservato che le nostre banche hanno superato gli stress test, ma mostrano indici patrimoniali più bassi per via di limiti nazionali più stringenti e l'assenza di capitale pubblico. Nel confronto con le altre banche europee i coefficienti patrimoniali di partenza delle grandi banche italiane, pur ampiamente superiori ai minimi regolamentari, sono mediamente più bassi. Sul divario influiscono sia una regolamentazione prudenziale nazionale che pone limiti più stringenti al computo di taluni strumenti negli aggregati patrimoniali che stanno al numeratore dei coefficienti, sia consistenti operazioni di ricapitalizzazione pubblica di cui hanno beneficiato alcune grandi banche europee". Via Nazionale nota che nel confronto internazionale i gruppi italiani si distinguono per un basso grado di leva finanziaria, per effetto di una operatività basata prevalentemente sull'attività di intermediazione tradizionale.

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